“Non posso ricorrere all’implantologia perché il dentista mi ha detto che ho poco osso”. Non è raro sentire pronunciare frasi del genere a un paziente.
In effetti, quando l’osso alveolare è notevolmente ridotto sia in altezza che in spessore, in apparenza le sue dimensioni potrebbero non sembrare sufficienti all’inserimento degli impianti.
Tuttavia, grazie alle moderne tecniche di implantologia è possibile sia adattare gli impianti ai volumi ossei a disposizione, sia ricorrere a delle tecniche di innesto osseo per recuperare l’osso perduto.
Svisceriamo dunque l’argomento cercando di capire cosa si intende per riassorbimento osseo e come affrontarlo, per poter ottenere in breve tempo la possibilità di tornare a masticare e a sorridere liberamente.
Indice:
- Cos’è il riassorbimento osseo
- Classificazione
- Implantologia con poco osso
- Alcuni casi clinici
- Conclusioni
Cos'è il riassorbimento osseo
Fisiologicamente, qualsiasi osso del corpo umano è sottoposto ad un’attività di rimodellamento composta da apposizione (creazione) e riassorbimento (perdita).
Normalmente vi è un equilibrio tra le due attività, ma quando il riassorbimento prevale sull’apposizione si assiste ad un’atrofia ossea.
A livello del cavo orale, nei primi 6 mesi dalla caduta o dall’estrazione degli elementi dentari, l’osso che prima avvolgeva la radice va incontro ad uno marcato riassorbimento per poi proseguire in maniera lenta ma pur sempre costante nel tempo.
L’atrofia ossea a carico delle ossa mascellari può determinare effetti negativi a vari livelli: sia a livello extraorale che intraorale.
Da un punto di vista extraorale, il riassorbimento osseo è in grado di modificare sensibilmente la fisionomia del volto, dal momento che le rughe periorali (intorno al labbro) aumentano e la distanza tra naso e mento si riduce drasticamente, facendo apparire il viso molto più invecchiato rispetto alla reale età anagrafica.
Esistono poi delle alterazioni intraorali: l’osso alveolare si assottiglia e si accorcia determinando conseguenze anche a livello dei denti adiacenti.
Gli elementi dentari contigui a quello mancante, infatti, tenderanno ad avvicinarsi mentre quelli presenti a livello dell’arcata opposta subiranno un apparente allungamento.
Classificazione delle atrofie dei mascellari
Per avere una panoramica sulle varie tipologie di riassorbimento a cui si può andare incontro, nel 1988 Cawood e Howell hanno suddiviso i gradi di atrofia in 6 classi:
- Classe 1: cresta alveolare con il dente in sede;
- Classe 2: alveolo post-estrattivo, condizione a cui si assiste immediatamente dopo l’estrazione del dente;
- Classe 3: cresta arrotondata ma di altezza e spessore adeguati;
- Classe 4: cresta a lama di coltello. Altezza idonea ma spessore insufficiente;
- Classe 5: cresta piatta con altezza e spessore insufficienti;
- Classe 6: osso alveolare depresso o pressocché assente.
Questa suddivisione è estremamente importante e la sua valutazione viene eseguita radiograficamente mediante la TAC 3D.
In aggiunta, la classificazione di Cawood e Howell fornisce anche molte informazioni sulla terapia: è necessario rigenerare oppure no?
Ricorda: come dimostrato in tanti casi, l’esperienza dell’implantologo fa la differenza. In un articolo abbiamo descritto il caso di una signora a cui era stato preventivato un ponte di 6 denti.
Implantologia con poco osso
Come comportarsi in caso di riassorbimento osseo?
Ogni condizione varia da caso a caso ma normalmente ci sono cinque strade percorribili:
- procedere con l’inserimento dell’impianto se l’atrofia ossea è di scarsa entità;
- ricorrere a impianti corti, detti anche “short implants”;
- sfruttare i pochi punti in cui l’osso è presente;
- ricorrere agli impianti pterigoidei;
- ricorrere agli impianti zigomatici;
- eseguire delle procedure di rigenerazione ossea.
1. Normale inserimento dell'impianto
Quando l’atrofia ossea è presente ma in maniera lieve o moderata, l’implantologo può procedere con l’inserimento dell’impianto senza alcun tipo di chirurgia pre-implantare.
In questo caso, una delle risposte più efficaci è l‘implantologia a carico immediato.
Il fattore chiave del concetto di implantologia a carico immediato è quello della stabilità primaria, che si fonda sulla capacità dell’impianto di restare immobile non appena viene avvitato nell’osso.
Anche le aziende produttrici di impianti dentali hanno sviluppato determinate tipologie di viti che grazie alle loro particolari superfici e forme hanno migliorato la loro stabilità stimolando maggiormente la risposta ossea.
2. Utilizzo di impianti corti
Un’altra soluzione poco invasiva ma non sempre percorribile per chi ha poco osso e vuole comunque beneficiare dell’implantologia a carico immediato è l’applicazione di impianti corti.
Possono definirsi impianti corti quelli con una lunghezza non superiore agli 8,5 mm. Il vantaggio di un impianto corto è che può essere inserito in un tessuto osseo di pochi millimetri (difatti sono sufficienti 5-6 mm di osso).
Un impianto corto è generalmente consigliabile in casi di atrofia ossea verticale (classe 5 di Cawood e Howell), ossia a pazienti che hanno un osso residuo molto corto, condizione che si verifica spesso nelle aree posteriori delle arcate dentali.
Per garantire la stabilità necessaria al sostegno della protesi, generalmente occorre inserire un alto numero di impianti corti.
3. Utilizzo dei punti con maggiore presenza di osso
A titolo esemplificativo, trattiamo due tecniche che permettono di aggirare il problema della carenza d’osso: la tecnica all-on-4 e il bypass del seno mascellare.
Tecnica all-on-4
Se ci troviamo di fronte ad un’arcata completamente edentula, una possibile soluzione è rappresentata dall’All-on-Four, ovvero “tutto su quattro impianti”.
Sviluppata a partire da una ricerca del portoghese Dr. Paul Malò sull’implantologia a carico immediato, la tecnica “All-on-Four” indica la possibilità di applicare protesi fisse in grado di ancorarsi a soli 4 punti d’appoggio, vale a dire a 4 impianti dentali.
Questo è possibile aumentando la lunghezza degli impianti e posizionandoli in maniera obliqua, caratteristica che li rende particolarmente stabili nell’osso residuo da trattare.
L’applicazione obliqua degli impianti permette inoltre di raggiungere i punti con maggiore presenza d’osso e senza interferire in maniera diretta con strutture anatomiche particolarmente delicate come il nervo alveolare inferiore.
In questo modo, l’intervento di implantologia diventa una soluzione accessibile anche a chi ha poco osso, con la garanzia di avere un risultato efficace e duraturo nel tempo che evita stress o traumi particolari.
La tecnica all-on-4 ha comunque degli svantaggi rispetto ad altri protocolli ed è consigliata ai pazienti che presentano un determinato quadro clinico.
Bypass del seno mascellare
Quando a mancare è l’osso all’altezza dei seni mascellari (cavità presente sopra ai molari superiori), potrebbe essere possibile ovviare al rialzo del seno mascellare con una tecnica di bypass.
Il bypass del seno consiste nell’applicazione di uno o due impianti inclinati che, appunto, evitano l’area vuota e si ancorano dove c’è maggiore presenza di osso. Nella radiografia in basso, si vede un caso clinico in cui è stata applicata la soluzione appena descritta.
4. Impianti pterigoidei
In caso di scarsa quantità di osso mascellare un’altra soluzione è rappresentata dall’utilizzo di impianti pterigoidei.
Tale tecnica implantare risulta utile soprattutto nei casi di massiccia atrofia ossea nelle zone posteriori dove si trovano i molari dell’arcata superiore.
Si tratta di particolari impianti lunghi che, in base alla pianificazione preliminare all’intervento di implantologia, vengono posizionati dall’implantologo in zone anatomiche specifiche del cranio che garantiscono stabilità.
A differenza della ricostruzione ossea, l’intervento con impianti pterigoidei permette una riduzione dei tempi di ripresa e la possibilità di riabilitazione dell’intera arcata con carico immediato. Ciò significa per il paziente poter ricostruire denti fissi in una sola seduta.
5. Implantologia zigomatica
In casi estremamente complessi di atrofia dell’osso mascellare superiore, un’efficace soluzione è rappresentata dall’implantologia zigomatica.
Si tratta di una metodologia che consente di inserire gli impianti dentali direttamente nell’osso dello zigomo anziché nell’osso mascellare, in modo da fornire la stabilità e il sostegno necessari alla protesi fissa. Pertanto, dopo un’attenta pianificazione dell’intervento, il giorno dell’operazione si posizionano gli impianti ed entro le 24 – 48 ore successive si applica la protesi fissa.
L’implantologia zigomatica ha una percentuale di successo superiore al 98%. In aggiunta, se nel caso dell’innesto osseo è necessario attendere un anno prima di concludere il trattamento, procedendo con l’implantologia zigomatica a carico immediato è possibile riabilitare il paziente con una protesi fissa entro poche ore dall’intervento, senza lasciare cicatrici o alcun segno sul viso.
6. Rigenerazione ossea
Se l’atrofia ossea è massiccia e non è possibile ricorrere agli impianti corti, un’ulteriore opportunità è data dalla rigenerazione ossea.
Questa grande branca dell’implantologia e chirurgia orale comprende una serie di tecniche chirurgiche finalizzate a ripristinare l’osso perduto per scopi implantari.
Tra le metodiche più utilizzate spiccano il rialzo del seno mascellare, la split crest, l’innesto a blocco e la rigenerazione ossea guidata (detta GBR).
Sono tutte tecniche che, a seconda della zona da trattare e dal tipo di atrofia, possono essere utilizzate per ripristinare i volumi per un successivo (o talvolta immediato) inserimento degli impianti.
Per quanto concerne i materiali da innesto ne esistono diverse tipologie:
- osso autologo, prelevato dallo stesso paziente;
- osso omologo, tipicamente da cadavere;
- osso eterologo, di origine animale;
- biomateriali, di diversa origine;
- sangue del paziente centrifugato, ricorrendo ai fattori di crescita.
In linea generale, il miglior materiale per la rigenerazione ossea proviene dal paziente stesso poiché, a differenza dell’osso omologo o eterologo, garantisce maggiori probabilità di successo.
Certamente il ricorso alla rigenerazione ossea deve essere preso in esame quando non esistono altre soluzioni. Ciò per i seguenti motivi:
- la rigenerazione ossea richiede tempi lunghi di guarigione e si dovrà attendere almeno un anno per riavere denti fissi;
- la rigenerazione ossea, ad eccezione del piccolo rialzo del seno, è un intervento traumatico che causa gonfiore e indolenzimento dell’area trattata;
- aumenta la probabilità che si verifichi un fallimento implantare, sopratutto per importanti interventi di rigenerazione ossea.
1. Mancanza di osso all'altezza del seno mascellare
Una paziente presentava la mancanza dell’osso all’altezza dei molari superiori, in corrispondenza del seno mascellare. Il dr. Pizzamiglio – implantologo di Roma – è quindi intervenuto con un rialzo del seno mascellare.
Nell’immagine, i due trattini rossi individuano l’osso a disposizione che è di pochi millimetri e non è sufficiente per garantire la stabilità degli impianti.
Dopo l’intervento di rialzo del seno con l’uso dei fattori di crescita, l’osso rigenerato ha consentito il posizionamento di 3 impianti, inseriti senza tagliare la gengiva, ma praticando dei piccoli forellini.
2. Mancanza di osso in zone estese
La capacità di sfruttare l’osso residuo per ridare denti fissi al paziente è prerogativa dei clinici più esperti. Un bravo implantologo è infatti colui che non ha bisogno di seguire procedure predefinite, ma che riesce a trovare una soluzione specifica per il paziente che ha di fronte.
Nel video seguente potrai ascoltare la testimonianza di una donna che, dopo essersi rivolta ad altri odontoiatri, ha trovato la soluzione al suo problema di atrofia ossea rivolgendosi al prof. Maurizio Cirulli – Implantologo di Bologna.
Il dr. Cirulli ha sfruttato tutto il poco osso a disposizione e ha raggiunto la stabilità necessaria a garantire il sostegno alla protesi fissa superiore mediante il posizionamento di 6 impianti nelle uniche posizioni disponibili.
Un intervento molto complesso eseguito nel 2015 e che continua a garantire il sorriso alla paziente a distanza di anni.
3. Grave assenza di osso
Quando l’atrofia ossea è estrema, l’implantologia zigomatica può essere l’unica via percorribile.
Presso la clinica Sanident di Milano – specializzata in Implantologia – si eseguono interventi di implantologia zigomatica.
Nella radiografia seguente si vede come 2 impianti zigomatici hanno permesso di dare stabilità alla protesi in presenza di un osso mascellare atrofico.
Conclusioni
Ogni paziente è unico ed è impossibile racchiudere in poche tipologie l’enorme varietà di situazioni che affronta ogni implantologo nell’arco della sua vita professionale.
Non sempre è possibile ridare denti fissi a chi presenta una grave carenza d’osso, ma ricorrendo a più tecniche e all’abilità di esperti implantologi, molti pazienti che credevano di non avere possibilità hanno oggi una protesi fissa.
Per questo noi di implantologi.it selezioniamo solo i migliori implantologi, coloro che hanno l’esperienza necessaria per affrontare qualsiasi caso e qualsiasi complicanza potrebbe presentarsi durante l’intervento.